Così si legge tutti i giorni sui quotidiani e si ascolta nei telegiornali.
E chi non fa le scelte che dovrebbe, trattenuto da paure e convenienze, non è anche lui corrotto dalla consuetudine e traditore della propria vocazione, facendo ancora più danni del primo perché il suo agire è celato nella innocua abitudine?
Si direbbe proprio di sì.
E questa convinzione gli si fa così prepotente, che il maresciallo Maggio non riesce più a distinguere se non sia in effetti più reale di tanta brutta cronaca.
Ma il caso vuole che abbia appena sciolto il nodo che lo aveva tenuto a lungo legato e progetta ormai la sua nuova vita con Sandra, e che un colonnello dei Servizi lo contatti per un motivo molto preciso proprio all'ultimo istante: rintracciare la ragazza, sì, proprio lei, quella che tentò di farlo fuori appena tre anni prima, perché lei è ancora al soldo degli stessi mandanti e lui non ne è affatto al sicuro.
INCIPIT
L’erba era verde nonostante il
terreno fosse asciutto. La bandierina rossa con la scritta 12, come uno spiedo, aveva due arance infilate in cima ed era stesa
al suolo lontano dalla buca. Impronte di scarpe andavano e venivano lì intorno
ma sembravano, al massimo, di due persone diverse.
La ragazza giaceva carponi,
gli occhi e la bocca semiaperti, irrigiditi nella morte. Il corto vestito
dozzinale aragosta era spiegazzato e, senza alcun rispetto, le lasciava il
sedere quasi del tutto scoperto. Di fianco, all’altezza del fegato, si
intravedeva appena una macchia di sangue, piccola, ma intensa, al centro della
quale due brevi linee parallele e più scure indicavano i punti dove la lama era
penetrata. Le calze scure strappate lasciavano intravedere un violento graffio
sulla pelle bianca variata da alcune vene varicose e un po’ di cellulite. La
ragazza non era più una ragazza da un po’, ma ancora doveva lavorare per strada
e cercare clienti per mantenere un figlio da qualche parte o solo se stessa,
chissà.
Maggio la guardava pietoso.
Quella donna non aveva fatto nulla di male, o forse sì: in un’altra vita, però.
Quale poteva essere la colpa per arrivare fino a quella stradina neanche tanto
nascosta ed essere uccisa da un balordo o un ubriaco con due coltellate
all’addome? Forzò su un ginocchio dopo l’altro e si sollevò dalla scomoda
posizione. Teneva la borsetta nelle mani guantate. La aprì. Dentro, alcuni profilattici,
due banconote da venti euro e un cellulare privo di valore. La zona era già
circoscritta, i colleghi del reparto investigativo avevano già cominciato i
rilievi.
Si guardò intorno. La donna
giaceva al centro di una piccolissima boscaglia al margine di un campo di golf.
La buca numero dodici era a una cinquantina di metri. Dalla parte opposta, il
prato lasciava il posto a una macchia più estesa, sovrastata in lontananza da
una collina sulla quale si intravedeva una villetta. Poteva far parte dell’impianto
sportivo oppure no. Si incamminò.
Il cancello di ferro era
chiuso e sul campanello non c’era scritto nulla. Quasi tutte le serrande erano
abbassate. Una tenda si mosse appena, e un’ombra passò impercettibile
all’interno. Il porticato era ben custodito ma non si vedeva anima viva. Non
c’era un vaso di fiori, né una bicicletta, un paio di scarpe sporche o una
maglia stesa ad asciugare. Sembrava che la vita reale non avesse mai irrotto
nell’abitazione.
Suonò, attese. Una voce
gracchiò dal citofono.
«Sì?»
«Se potesse aprire, o
scendere, sarebbe meglio. Si può affacciare, prima.» Maggio era sicuro che il
tizio sconosciuto avesse già sbirciato, altrimenti non avrebbe neanche
risposto. Sentì riappendere, un click e
un ronzio. Il cancello si aprì. Entrò. In fondo, in penombra, c’era un
portoncino. Qualcuno si affacciò.
«Prego, venga.» L’uomo era
alto, snello, con capelli brizzolati e corti ed era vestito di nero. Il
colletto della camicia era slacciato e il cravattino bianco allentato. Gli
porse la mano a metà tra orizzontale e verticale.
«Maresciallo Maggio.» Lo
costrinse a una stretta verticale, e ne sentì il vigore. In quel momento si
accorse che il cravattino era in realtà un collarino.
«Padre Karradis.».
Maggio lo osservò. Più che
un prete sembrava un attore che ne impersonava la parte. Sentì un lieve odore
di alcool e, da vicino, notò un rossore diffuso negli occhi e due profonde
occhiaie.
«Sono stati qui i suoi
colleghi questa mattina. Hanno anche scritto un verbale. Ho il sonno profondo,
ma credo che avrei lo stesso sentito urlare, se qualcuno lo avesse fatto.»
Maggio si guardò intorno. L’appartamento era arredato con mobili moderni. Alle
pareti bianche erano appesi quadri astratti. Non c’era polvere né un oggetto
fuori posto ma, sul tavolino basso davanti alla tv, c’erano due arance accanto
al telecomando. «Quando mi sono affacciato c’erano già le vostre auto.»
«Affacciato?»
«Sì, ero sopra.»
«Mi vuol far vedere, per
cortesia?»
L’uomo lo guardò. «Mi
segua.»
Salirono fino allo studio al
piano superiore. Qui l’ambiente era molto meno asettico. C’era un divanetto
consunto appena sotto al davanzale, una scrivania con computer, penne e fogli e
alcune cartelle portadocumenti aperte e uno scaffale in legno con molte altre
cartelle dello stesso tipo. La vetrata ampia dava sul campo da golf scoprendo
la visuale di almeno quattro buche tra la boscaglia. I ragazzi si stavano dando
da fare a fotografare e cercare qualsiasi cosa diversa dall’erba nei dintorni
del cadavere, e ne avrebbero avuto ancora per un bel po’. Più il tempo passava,
più gente arrivava e più diminuivano le possibilità di trovare qualcosa, ma era
per forza così. Per cercare occorreva muoversi e toccare.
«Questa notte ha dormito
qui?»
«Sì, maresciallo. Mi hanno
assegnato questa casa, finché rimarrò a Roma.»
«C’è solo lei?»
«In questo momento, sì.»
«E non ha sentito nulla, ha
detto.» Da lì, la dodici distava circa
duecento metri. Anche senza altri rumori, era plausibile che le voci potessero
non essere udite. «Per caso, ieri sera, prima di andare a dormire, ha visto se
stavano giocando?»
«L’impianto chiude alle
otto, poi c’è il personale di servizio. Non ci faccio molto caso.»
«Non ci ha fatto caso o non
ha controllato?»
Il prete lo guardò attento.
«Non ho controllato, certo.»
Sul davanzale della vetrata
c’erano una bottiglia di whiskey quasi vuota e due bicchierini; accanto, un
posacenere colmo di cicche. Sulla metà c’erano segni di rossetto.
«C’era qualcun altro in casa
con lei questa notte?»
Karradis strinse appena la
mascella e le palpebre. «Nessuno che abbia attinenza con tutto questo, no.»
Indicò il campo da golf.
Maggiò guardò fuori. «Già.»
La domanda successiva era
talmente ovvia che Karradis rispose prima che Maggio gliela formulasse. «Lei sa
che ho un compito delicato qui a Roma.»
«No, non lo so.»
«Glielo dico io. Qualsiasi
notizia o voce o sussurro che mi coinvolga in una questione nella quale non ho
alcun coinvolgimento, perché è così, tutto può essere manipolato dai nemici
della Chiesa.» Lo guardava fisso. «La Chiesa ha molti nemici, sa.»
«Anche molti amici, padre
Karradis. Ma vorrei solo parlare con la signora per sapere se avesse notato
qualcosa lei. Sa, potrebbe averlo fatto senza averglielo detto.»
L’uomo teneva le mani dietro
la schiena e si avvicinava a piccoli passi. «Se avessi avuto qualcosa da
nascondere, non l’avrei fatta salire, maresciallo.»
Maggio si irrigidì. «Qualcosa
da nascondere… ma chi ha detto… perché non parla apertamente…»
«Apertamente? È tutto sotto
i suoi occhi, tutti sanno tutto… è così… è così…» Maggio si toccò la testa. «Ma
cos’ha? Non si sente bene?» Il prete allungò un braccio verso di lui. Maggio gli
vide la mano ingrandirsi, mentre la testa rimaneva lontana e sempre più piccola.
«…mi ascolti… mi ascolti… mi ascolti…»
Maggio scansò quel braccio
enorme a fatica. Tentava di respirare ma non riusciva a prendere aria a
sufficienza. Allentò la cravatta. Si voltò per cercare l’uscita, ma si accorse
di avere la vista annebbiata e non riusciva a trovare la porta. Le parole gli
giungevano lontane e confuse. Si appoggiò al davanzale della finestra, la
spalancò, aprì la bocca e, con un lungo energico sforzo, riempì i polmoni.
Sbarrò gli occhi. Con lieve affanno,
continuò a respirare. Si alzò seduto sul letto. Si stropicciò gli occhi, prese
la sveglia sul comodino, mise a fuoco le lancette. Le sei e trenta. Fuori, il
rumore di passi frettolosi lo richiamò infine alla rassicurante realtà. Considerato
cosa lo aspettava, aveva dormito abbastanza bene.
Era ora di muoversi.
I Corrotti, VI episodio della serie "I Racconti dela Riviera"
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