Terry Maitland è lo specchiato allenatore della squadra di baseball di Flint City, ridente periferia immaginaria nell'Oklahoma. Però, davanti all'intero paese, lo arrestano con prove inoppugnabili per l'orribile omicidio a sfondo sessuale di uno dei suoi ragazzi. La popolazione è sbigottita ma non abbastanza, perché Terry ha prove altrettanto indistruttibili della sua innocenza. E infatti, la spiegazione sta nel terzo sconosciuto: l'Outsider, appunto.
Stephen King accarezza la sua paura primordiale, che è sempre la stessa, comunque la travesta: un pagliaccio, un pazzo omicida, uno stragista distopico e malefico, per dirne alcuni. Non so cosa abbia subito da piccolo, se è così, ma lui riesce sempre a far entrare il lettore in quella zona priva di ogni certezza dove, guarda un po', si incontrano solo soggetti dalla totale e istintiva cattiveria. È solo l'insicurezza per quelli che ci rubavano la nostra figurina più bella o ci sporcavano il grembiule senza motivo? Sarebbe troppo poco.
Ma c'è quella porta che dà su una stanza buia e senza pavimento dentro ognuno di noi, e lui la apre, si scansa, e ci invita ad accomodarci.
Personalmente non mi piace l'horror puro, però lo tollero in storie come questa perché la traccia era una sfida degna del Re.
E nonostante avrei preferito la vocazione poliziesca, per cui risolverla col soprannaturale, anche se attenuato, è comunque un depotenziamento, King è un narratore formidabile e leggerlo vale sempre.
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