Il caso Joel



racconto in gara al concorso letterario di Thriller Nord

IL CASO JOEL

Non vidi più Beatrix, la evitai ogni qual volta c’era anche solo la possibilità che avessi potuto incontrarla o averne notizie, e non seppi più neanche come fosse andata con la sua inesorabile malattia. E non era solo perché aveva risvegliato un dolore mai sopito. No, il fatto è che aveva ragione. Mi ero sempre sentito in colpa perché non poteva essere altrimenti, e per tutti questi anni avevo cercato la verità nella speranza che le cose avessero potuto smentirmi.

Quindi, quando la bellissima Joel mi chiese di occuparmi del caso di suo fratello Siegfrid, scomparso appena sei mesi prima, fui tentato di rifiutare. Ma questo non avrebbe riportato Eiran da me, non avrebbe lenito la mia pena e, soprattutto, non mi avrebbe pagato neanche una bolletta. Dovevo vivere e accettai, cercando di scansare tutto il resto.
Joel Puzkàs aveva ventisei anni e la bellezza fresca di una ragazzina di quindici. Siegfrid era più grande di lei di quattro anni. Quando i genitori scomparvero in un incidente stradale, Siegfrid aveva appena iniziato a lavorare come geometra. Aveva comprato un piccolo appartamento in affitto nello stesso condominio dello studio dove lavorava e fu naturale ospitarla. Fu subito altrettanto chiaro che Joel non avrebbe potuto andarsene per tornare a vivere a mille chilometri da casa con una lontana zia con la quale non aveva mai avuto contatti, né con i nonni in cima alle montagne. Doveva studiare e farsi una vita, così rimase con il fratello. Terminato il liceo, iniziò a posare per una piccola agenzia di pubblicità, ottenendo contratti via via migliori.
«E così,» le dissi porgendole un bicchiere d’acqua, «alla fine anche lei se ne andò a vivere per conto suo.»
Joel stava seduta con lo sguardo rivolto al pavimento. «Sì.» Bevve un sorso, passò il dito smaltato sul bordo del bicchiere per togliere il rossetto. «Fu necessario, non potevo continuare a fare la pendolare con gli orari assurdi di lavoro che avevo.»
«E Siegfrid cosa ne pensava?»
«Lui non era d’accordo. Avrebbe voluto che rimanessi con lui almeno un altro po’. Diceva che il mio ambiente di lavoro non gli piaceva. Specie Karl, il mio fotografo.»
«E perché?»
«Per quello che tutti pensano di quest’ambiente. Che fai carriera solo se vai a letto con qualcuno.»
«E non è cosi?»
La domanda rimase sospesa. Lei bevve di nuovo. Alzò gli occhi. «È come dappertutto. Se vuoi, fai, altrimenti… ma non sono qui per questo.» Si alzò in piedi, mi venne molto vicino e dall’ampia scollatura intravidi il minuscolo reggiseno. Prima ci avevo fatto meno caso, ma era più alta di me, e credo che lo sarebbe rimasta anche se avesse tolto il tacco dodici. «Voglio che lei lo ritrovi. Lui non se ne sarebbe mai andato senza avvisarmi.»
Ne sentii il profumo, mentre un raggio di sole le donò un riflesso dorato su un boccolo. «È andata alla Polizia? Devo chiederglielo.»
«Ci sono andata, certo. Ma Siegfrid è maggiorenne, e ha diritto di stare per conto suo. Così dicono. Si sono limitati a controllare i biglietti aerei e ferroviari prenotati, e lui non c’è.»
«Cioè: se non c’è il cadavere, non è scomparso nessuno.»

Joel mi lasciò le chiavi di casa e una fotografia del fratello, un telefono dove contattarla, e uscì. Io non aprii la finestra per continuare ad assaporare la costosa fragranza. Era inutile andare a chiedere sul posto di lavoro. Siegfrid si era licenziato e, da allora, nessuno l’aveva più visto. Non avevano avuto motivo di sospettare qualcosa di male, perché l’aveva preannunciato un paio di mesi prima.
«Ma perché solo al capo?» Lo dissi calcando un po’ il tono.
«E che ne so io? Perché non voleva farlo sapere, immagino.» Ozil riusciva sempre a sapere tutto quello che gli chiedevo. Con il suo modo di fare affabile e chiacchierone fino allo stremo, si confondeva in una rete di conoscenze tra fattorini, baristi, parrucchiere e ambulanti, riuscendo a carpire una parola a destra e una a sinistra, fino a ricostruire un’immagine come un restauratore fa con un affresco malandato. «Fatto sta che lui ha preso la liquidazione ed è sparito. Ma puoi andare a chiedere a un certo…» Sentii il fruscio intermittente delle dita sulle pagine del bloc-notes anche attraverso la cornetta. Mi sembrava di vederlo nel suo gesto tipico. Lecco-sfoglio-lecco. «Eccolo qua.»

Non era lontano, andai a piedi. Casimiro, il portiere siciliano dello stabile dov’erano sia lo studio che l’appartamento di Siegfrid, non faceva passare nessuno senza un motivo, e mi guardò di traverso mentre smistava le buste appena lasciate dal postino. Tirava su a intervalli regolari dal naso arrossato e una sigaretta senza filtro gli pendeva dalle labbra.
«Non lo conosco.»
Lasciai la banconota da cinquanta euri sul bancone. Lui continuò indifferente. Ne misi un’altra. Il campanello suonò, entrambi ci girammo verso la porta aperta sull’androne. Al quarto piano, scala A. Casimiro accompagnò l’informazione puntando l’indice. Quando mi voltai di nuovo, il denaro era sparito.
«Vale anche per lei.» Disse.
Secondo Ozil, non c’era motivo di andare lì. Io invece pensavo sempre che fosse opportuno iniziare dove apparentemente non c’è nulla. Mi fermai allo studio tecnico al primo piano.
Khedira, il capo di Siegfrid, era alto e magro. Aveva le maniche rimboccate fino al gomito e due bretelle marroni a sorreggergli i pantaloni sul un ristrettissimo punto di vita.
«Ha preso la sua liquidazione e se n’è andato.» Spostò un faldone dal plotter e lo appoggiò sulla scrivania. «Cosa vuole che ne sappia? Qui aveva tutto, non si è mai lamentato e, da come vestiva, non credo che gli mancassero i soldi. Sembrava un tipo a posto, ma non si finisce mai di conoscere con chi si ha a che fare.»
«Che significa?»
«La sorella, è modella, no? Lui non avrebbe mai voluto, e lo diceva.» Cose che sapevo, grazie. Stavo per andarmene ma, sulla soglia, la voce di Khedira mi fermò. «Fino a, diciamo sei mesi fa.»
Mi voltai. «Cosa successe sei mesi fa?»
«Niente. Non successe un bel niente. Ma da quel momento non sentii più alcuna lamentela, anzi, non ne parlava più proprio.»
«Così, di punto in bianco?»
«Gliel’ho detto. Ci fu un’ennesima litigata al telefono, lo sentimmo tutti, e poi più niente. Siccome altre volte si era confidato, provai a chiedere, ma lui glissò, seccato. Ci rimasi anche male e non chiesi più nulla, affari loro.»

Salii fino all’appartamento. C’era già stata la Polizia, chiaro, ma io non cercavo armi del delitto o tracce di sangue, e credo che avrei trovato qualcosa che loro non avrebbero potuto immaginare. L’appartamento era piccolo e arredato con gusto. Era ordinato e vuoto di emozioni, come si addice a uno scapolo. Aprii un po’ di cassetti vuoti, controllai il frigorifero. Era spento. Nella credenza c’era solo un pacco di sale. Stavo per uscire, quando notai la lettera di una banca sotto la porta. La presi, mi guardai intorno e richiusi la porta. La aprii, era un estratto conto di chiusura e portava la data del mese appena passato. Il saldo era zero. Meno uno e ottanta, a essere precisi. Il ragazzo mi era sempre più simpatico, era riuscito a fregare una banca.
La sera stessa andai a casa di Joel. Pioveva, e la attesi nell’androne per più di due ore. I vicini passavano disgustati dalle sigarette che fumavo, e mi spostai su e giù per le scale per dare meno nell’occhio. Quando lei arrivò, mi trovò appoggiato allo stipite della sua porta e sgranò i suoi begli occhi di gatto.
«Le avevo dato…»
«…il telefono per chiamare, lo so. Ma mi piacciono le sorprese. Non lavora oggi?»
Salimmo in casa. Lei si tolse il cappottino e lo gettò sulla sedia con un gesto distratto. Era studiato o da troppo tempo faceva quel lavoro. Si sedette sul piccolo divano e mi invitò ad accomodarmi. Apprezzai ancora più il suo corpo affusolato e mi sedetti accanto.
«Non aspettavo novità così presto.»
«In effetti, non ne ho.» Il suo ginocchio appena celato dalla calza scura sfiorò il mio e sentii un brivido lungo la schiena. Ci volle un secondo in più per riprendere il filo. «Volevo solo sapere se suo fratello era autonomo economicamente. Se aveva debiti, se conduceva una vita costosa, cose così.»
Mi guardò. «Non che io sappia. Faceva una vita regolare, andava a letto presto. Aveva qualche bel vestito e una bella macchina, ma era solo e poteva permetterselo. Anche l’appartamento era suo, credo che abbia appena finito di pagare il mutuo.»
Così diceva l’estratto conto. Il ragazzo aveva un bello stipendio, una bella vita, non aveva debiti. Ma c’era un’altra pista che non avevo ancora percorso e che volevo verificare.
«Non aveva una fidanzata, un amico, qualcuno di più intimo dei colleghi?»
«Non lo so. Usciva con ragazze diverse ogni settimana, non voleva legami. Così mi diceva sempre.»

Il mio amico Howedes non era proprio mio amico. Però lavorava alla Polizia politica e spesso aveva bisogno di informazioni di prima mano che io e pochi altri riuscivano a fornirgli. Lo raggiunsi al solito posto, la tavola calda di fronte alla Centrale dove ogni poliziotto incontrava il suo informatore personale. Era ancora presto, ma ne ordinai uno e così fece lui. La prassi era che offriva chi chiedeva l’informazione.
«E cosa vorresti sapere?»
«Se avete fatto operazioni antidroga, sequestri anonimi o arresti nell’ambito della moda nelle settimane scorse.»
«Sono cose che puoi leggere sui giornali.»
«Infatti li ho già consultati, ma dicono in maniera troppo vaga di un traffico gestito sulla tratta Berlino-Stoccolma.»
«La rotta della moda.» Svuotò il bicchiere con una sola sorsata. «Beh, qualche mese fa, sì. In effetti abbiamo arrestato qualcuno, ma i nomi non sono pubblici perché l’indagine è ancora in corso.»
Howedes alzò le sopracciglia, le mantenne così per diversi secondi e non parlò più. Però ne sapevo abbastanza. Volevo fare un ultimo accertamento.

Tornai all’appartamento di Siegfrid. Il portone dava su una strada trafficata, era una via commerciale. Chi avesse voluto, avrebbe trovato più di un’agenzia viaggi. Siegfrid sarebbe potuto andare da solo o avrebbe potuto incaricare qualcuno che non si faceva troppi scrupoli davanti a un biglietto da cento.
«Questa volta non le darò nulla, però non avviserò la Polizia se lei mi risponderà al primo tentativo.»
Casimiro stava accendendo la sigaretta con la cicca di quella appena finita. «Quale sarebbe la domanda?»
«Siegfrid l’ha pagata per comprare un biglietto a suo nome.» Lui rimase muto. «Le ricordo che la Polizia sta indagando per omicidio. Se lo trovo, naturalmente le ricerche cesseranno e non sarà necessario andare a vedere chi ha ostacolato le indagini.»
Casimiro aveva già visto la Polizia passare per le scale e comprese subito la sua immediata convenienza. «Sono andato all’agenzia in fondo alla strada, ho pagato in contanti.»
Perché fare troppa strada? La prudenza non gli era richiesta. Si era fermato alla biglietteria. Siegfrid era fuggito, quindi. Un biglietto di sola andata per Berlino. Il treno veloce è molto più anonimo dell’aereo.

Ci pensò Howedes a trovarmi il voucher dell’auto noleggiata alla stazione tedesca, questa volta a nome di Siegfrid. Con il GPS aziendale fu semplice rintracciarla all’istante e vedere ogni tragitto e sosta fatti. L’auto era sempre ferma per la notte in una zona residenziale a est della città, avevo addirittura l’indirizzo e il telefono dell’ingenuo ragazzotto.
«Fanne ciò che vuoi,» disse Howedes, «non è morto, e per noi il caso è chiuso. Non è mai iniziato, anzi.»

Non mi rimaneva che attendere. Così, mi piazzai di nuovo fuori dalla casa della bella Joel, e attesi. Lei arrivò a tarda notte, in compagnia di un tizio atletico ed elegante. Pensai alla mia importante pancia. Se l’idea di sedurla mi avesse sfiorato, certo ora mi rendevo conto di quanto fosse stata ridicola. Non mi feci vedere. Sgattaiolai nell’androne e, appena richiusero la porta dell’appartamento alle loro spalle, mi misi ad ascoltare. Stavano litigando, e il motivo era quello che avevo immaginato.
A quel punto, dovevo concludere l’incarico e riscuotere il mio onorario. Suonai il campanello. Le voci si bloccarono di colpo. Sentii passi felpati, lo spioncino si illuminò per un secondo e, infine, qualcuno aprì. Joel era in vestaglia e le sue gambe apparivano ancora più lunghe di come le avevo immaginate.
«È lei, Bjorn? Si accomodi.» Il cagnaccio mi guardava ringhiando, ma lei lo mise a cuccia con una carezza sul naso. «Vista l’ora in cui arriva, devo dedurre che ci siano novità.»
«È così.»
Mi indicò una sedia. Lei si accomodò di nuovo sul divano e il cucciolone la seguì. «Lui è Karl, il mio fotografo.»
L’avevo capito. Sforzai un sorriso ma non venne nulla. «Signora Puzkàs, suo fratello è vivo e sta bene.» I due rimasero imbalsamati alla notizia, ma avrei giurato che i loro timpani si fossero spostati come due parabole di Echelon. «Ma questo lo sapevate fin dall’inizio.» Lei allargò appena le orbite ma si trattenne. «Anche lei, Joel.» Karl aggrottò la fronte. Forse il ragionamento si era già fatto troppo difficile per lui. «Non si lascia una casa vuota e senza nulla in frigorifero se si viene a mancare all’improvviso.»
La ragazza si morse il bel labbrino inferiore. Una quasi impercettibile sbavatura di rossetto comparve. «Cosa significa?»
«Già, cosa vuol dire?» La voce del randagio era meno profonda di quanto il suo aspetto lasciasse credere.
Mi alzai. Dovevo andare con la scena madre. Ebbi un secondo di esitazione, perché mi accorsi, in piedi, di essere quasi alla loro altezza. Calcai più il tono, ma loro non sembravano aver notato nulla, anzi, i loro sguardi erano molto attenti. «Cosa le ha portato via suo fratello, signora Joel, da volerlo cercare così tanto facendo credere che l’avessero ucciso? Soldi? O una di quelle partite di droga che lei trasportava per il suo amico Karl, forse?»
Lui si mosse, ma lei di nuovo lo ammansì solo alzando l’indice. «Vada avanti.»
«Diciamo così. La sua fortunata carriera diventa ancor più redditizia quando Karl, o chi per lui, le commissiona delle consegne… riservate. Casimiro ha il vizietto e la aiuta più che volentieri a smistare i pacchi in cambio di denaro o cocaina. All’inizio, Siegfrid accetta i soldi con cui lei contribuisce a pagare il suo mutuo ma poi, forse, si rende conto che il rischio è esagerato o non si fida di Casimiro, chissà. Fatto sta che cambia idea e lei se ne va. Ma Siegfrid si accorge che è più difficile vivere dopo essersi abituato ad avere certe somme disponibili. Sa che il traffico continua proprio lì sotto a casa sua e attende paziente il momento giusto. Magari Casimiro non è al corrente delle vostre beghe familiari, magari lei manca qualche giorno in più per una sfilata da qualche parte nel mondo, e lui trova tempo e modo per beffare l’avido guardiano.»
Joel scavallò una gamba e la mise sull’altra. Il lembo della vestaglia rimase scomposto e lo scorcio visibile mi apparve per la prima volta casuale. «Sono tutte sue supposizioni.» Finalmente sentii un tono di voce alterato. La vena al centro della fronte si gonfiò leggermente. Il botolo aveva smesso di ringhiare anzi, dall’espressione contrita che gli era comparsa, mi sarei aspettato dei guaiti sommessi. Mi venne un dubbio ma lo scacciai.
«Sono mie supposizioni, certo. Ma io non sono uno sbirro, non devo sostenere nessuna accusa davanti a un Tribunale. Dovevo trovare suo fratello e l’ho fatto.» Mi avvicinai. «Ma non le consiglio di andarlo a prendere. Se gli dovesse succedere qualcosa di male, c’è qualcuno della Polizia che verrebbe subito a cercare lei.»
Joel mi diede una busta. Sbirciai dentro, c’erano un consistente numero di biglietti da cento. A occhio e croce, erano più di quelli che mi aspettavo. Mi sorrise in maniera accattivante, non recitava più e il mio ego ricevette una consistente iniezione di fiducia. Karl rimase lì, ancora pietrificato.

Uscii all’aria aperta e respirai a pieni polmoni. Risolvere casi dei quali non mi interessava nulla aumentava il mio rammarico per non aver saputo salvare mio fratello. C’erano comunque delle domande alle quali non avevo dato risposta ma, me lo ripetei, io non ero un poliziotto. Bastavano poche migliaia di euri per convincere Siegfrid a lasciare una vita ben costruita?

Qualche giorno dopo, era quasi ora di pranzo. Io e Ozil ce ne stavamo facendo uno a testa. Veramente era il secondo giro. Distratto, guardavo il notiziario alla tv alle spalle del mio amico. All’improvviso, nello schermo comparvero i primi piani, uno accanto all’altro, di Joel, Karl e Siegfrid. Erano foto segnaletiche in bianco e nero, e tutti e tre mostravano graffi e lividi. Il bar era affollato e non riuscii a sentire la voce dello speaker. Però lessi i titoli sulla banda scorrevole sotto. RISSA A BERLINO, MODELLA FURIBONDA PRENDE A PUGNI FRATELLO E AMANTE DEL FRATELLO.

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