Il Telefono Galeotto

PROLOGO

Il maresciallo Maggio era seduto nella sedia antistante la sua scrivania. In silenzio guardava il telefono, anche lui muto. Erano quasi le otto di sera; attese ancora qualche minuto, poi si alzò, ancora guardandolo. Si diresse verso l’uscita, spense le luci, aprì la porta e uscì, tirandosela dietro. Non appena infilate le chiavi, dato il primo giro alla serratura, udì lo squillo. Istintivamente guardò l’orologio: erano le otto e tre minuti. Esitò un secondo, poi riaprì la porta e rientrò. “Potrebbe essere importante”, pensava mentre si accingeva a rispondere. Prese la comunicazione direttamente dal piantone.
"Carabinieri Viserba." esclamò, con tono calmo e fermo.
"Buonasera, signore, cercavo il maressìallo… c’è?" Il tono era sommesso, quasi sottovoce, e indeciso, titubante.
“Il maresciallo”, pensò Maggio. Per quanto sapesse bene che nei paesi cercano sempre il maresciallo, non poteva fare a meno, ogni volta, di notarlo.
"sono io, signore, prego."
"Maressìallo! È lei! Sono Icio del Bagno 34, del “Gabbiano”, si ricorda? L’anno scorso, la fidanzata di mio cugino…", e via con una serie di particolari e di circostanze e di parentele per farsi identificare, ma questo era ancora più normale…

GALEOTTO FU IL TELEFONO

"Maressìallo, senta", proseguì sempre a voce bassa, ma il tono ora era più grave, "Maressìallo, un tizio ha frugato dentro l’auto davanti al bagno, nel parcheggio… voglio dire, ci sono dei vetri rotti sull’asfalto, Maressìallo … non c’è molta luce, ma sono vicino, lui non si è accorto."
"Rimani lì, non farti vedere, arrivo subito." Ora aveva capito chi era.