La Scelta

 

Opera menzionata alla XIV edizione del Premio Albero Andronico - Roma

C'è un episodio misconosciuto nella tragedia dell'occupazione nazista in Italia.
I Nazisti ordinarono la liquidazione del Ghetto, stanchi dei ritardi degli Italiani e desiderosi di riscatto dopo l'8 Settembre. L'azione, puntuale ed efficace, avvenne il 16 ottobre 1943: circa 1300 Ebrei furono rastrellati, oltre 1000 deportati, quasi nessuno tornò.


Ma pochi sanno che, nemmeno dieci giorni prima, i Nazisti misero a segno un'azione altrettanto drammatica. Non c'è una contabilità precisa. I carabinieri a Roma erano oltre 5000, quasi tutti ricevettero l'ordine di rientro in caserma e di consegna delle armi, perché la mattina successiva, il 7 ottobre, sarebbero stati concentrati alla Scuola Allievi. Forse la metà furono caricati sui treni che li attendevano alle Stazioni di Roma Ostiense e Trastevere.
In quella turbolenta e breve detenzione, commilitoni costringevano altri commilitoni a obbedire all'ordine coordinato dei Nazisti e del Comando Generale: i primi non si fidavano dell'Arma, il secondo attuava le disposizioni dei massimi vertici.
Chi mangiò la foglia si dette alla macchia e si unì alla Resistenza, chi obbedì fu deportato in Germania con peggior sorte dei prigionieri di guerra, perché annoverato traditore. Molti ebbero peggior sorte finendo tra le vittime delle Fosse Ardeatine.
Chi disobbedì, e a chi?




trama:
Roma, 6 ottobre 1943.
Il giovane brigadiere Flavio Cesari, impiegato al Ministero della Guerra, è al sicuro dai pericoli del conflitto e dalle terribili incursioni dei nazisti in città, e vive quasi come uno spettatore tutto quello che gli succede intorno.
Cura il censimento del personale militare e civile di razza ebraica. Richiede le schede, le controlla, le sollecita e si sente tranquillo anche nel segreto amore per Eva, una bella ragazza ebrea.
Tutto va bene fino a quando, tornando a casa a Trastevere dove abita, non assiste all'eccidio efferato di un suo collega sul Ponte Garibaldi da parte dei nazisti.
Lui ancora non lo sa, ma nulla è già più come prima.
Lui ha già scelto, e nelle seguenti frenetiche ore dovrà rischiare più volte la sua vita, guidato attraverso ogni pericolo solo dalla sua coscienza.

Cosa succede quando le regole alle quali siamo sottoposti impongono azioni ingiuste o addirittura con conseguenze letali?
Bisogna seguire la legge o la coscienza?


dalla postfazione:
Mi sono spesso chiesto qual è il limite tra coscienza e dovere. Un argomento interessante e spinosissimo, specie per un militare: fino a che punto è possibile ordinare qualcosa a qualcuno in un sistema di regole che lambisca, poco o molto, un istintivo sentimento di giustizia. La domanda è un esercizio accademico in tempi di democrazia, tutt’al più una questione di principio per piccole rivalse quotidiane. Non si rischia la vita né la deportazione a dire “NO!” a qualche personaggio di levatura anche elevata, tanto che qualcuno può anche tentare esperimenti curiosi.
Ma come rispondevano le persone obbligate al dovere in periodi bui come quel 1943 così romantico nei nostri ricordi buonisti di una società nascente, una modernizzazione incombente, un’americanizzazione annunciata dagli Alleati vittoriosi sulle loro jeep?
I miei colleghi avevano giurato fedeltà al Re, all’Esercito, alle leggi, per tacere dell’Arma, del Duce (che in quel momento era più della Legge e più del Re) e dell’alleanza con i tedeschi. Dopo l’8 settembre, obbedendo all’uno disobbedivano minimo a un altro, a pena della vita o comunque con conseguenze gravissime.



Ho dei dubbi sul fatto che obbedire a timore di rappresaglie da parte degli ufficiali, come documentato nell’episodio dell’internamento dei carabinieri romani, possa diventare un alibi per animi meno coraggiosi e men che meno spavaldi. La minaccia alla famiglia è qualcosa di stringente e aberrante, e non condanno nessuno per aver agito sotto questa coartazione. Ma non vorrei che quel minimo margine di manovra, pur ristretto o ristrettissimo, sia stato accantonato paventando oltre misura questa pur reale e terribile minaccia. È mia personale opinione che, in queste situazioni estreme, ci siano sempre dei margini di manovra ma che ci siano, al pari, persone convinte che sia giusto sacrificare le vite e le libertà degli altri per convinzione personale di un distorto senso del dovere, nazisti e fascisti per primi. Il dovere non può mai causare male gratuitamente e scientemente. Credo che quella bruttissima parentesi che fa da sfondo alla storia sia uno dei casi in cui non si possa avanzare a giustificazione di non aver compreso quanto orribile e ingiustificato possa essere deportare qualcuno, e in particolare donne e bambini.
Dirò di più: non trovo alcuna spiegazione, e lascio agli storici spiegare come tutto ciò sia stato possibile.
Io mi sono dato una risposta forse semplice e illusoria: la coscienza dovrebbe sempre prevalere. Nessun potere, tantomeno quelli personalistici, dovrebbero poter coartare la volontà di un singolo, di una massa, di un sistema militarmente organizzato, soprattutto se ciò che è richiesto nuoce in maniera fondamentale ai malcapitati di turno. Nessuna decisione definitiva dovrebbe poter essere presa da un singolo, tanto meno di vita o di morte.
Eppure è successo, succede ancora oggi e, c’è da scommettere, non cesserà neanche in futuro.
Si può tentare di arginare una coazione del genere forse, credo, solo con la democrazia, dove una pluralità di idee in confronto possa generare sempre il meglio per gli individui coinvolti, con la condizione minima del rifiuto della violenza.

Non finirò mai di ribadire come sia più difficile per un militare operare scelte di coscienza, perché compreso in un sistema di regole molto pressante. Ma il fatto che qualcuno lo abbia fatto in maniera così plateale, pur in circostanze estreme, non fa che rafforzare le mie convinzioni, e cioè che nessun sistema di regole debba, e infine possa, costringere altri a agire contro la propria coscienza. La coercizione può diventare un facile alibi per mascherare azioni aberranti, come durante la guerra, o incapacità, come durante periodi senza urgenze apparenti.

I documenti citati nel libro sono autentici.



Non c’è traccia della razzia nei giornali dell’epoca, se non un trafiletto attestante l’indisponibilità della Stazione Tiburtina per il 18 ottobre 1943 ai treni in partenza per il Nord.



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