Reduce dall'incontro di sabato 10 dicembre all'EUR a Roma organizzato nell'ambito della Fiera della piccola e media editoria sul self-publishing, perché così dice il calendario, devo dichiararmi ottimista ed entusiasta nella mia delusione, e non è neanche un ossimoro.
Mi spiego meglio. Dunque, la kermesse si presentava bene perché, nella sinossi pubblicizzata, inquadrava il self-publishing con una certa esattezza, suggeriva argomenti interessanti e, soprattutto, senza pregiudizi, inducendomi a credere che chi l'aveva curata sapesse di cosa si trattava. Ed eccola qui:
Mi spiego meglio. Dunque, la kermesse si presentava bene perché, nella sinossi pubblicizzata, inquadrava il self-publishing con una certa esattezza, suggeriva argomenti interessanti e, soprattutto, senza pregiudizi, inducendomi a credere che chi l'aveva curata sapesse di cosa si trattava. Ed eccola qui:
"Il self publishing pareva fino a qualche anno fa esclusivamente una minaccia. Poi, se esplorato bene dallo scouting editoriale, si è rivelato un bacino interessante di scoperta di nuovi autori e di nuovi mondi narrativi. L’occasione dell’incontro è la presentazione della prima indagine nazionale sul fenomeno del self publishing e di tutte quelle operazioni che partono da autori presenti sulla rete e che diventano base di partenza per riusciti (o meno) casi editoriali. All’estero – negli Stati Uniti soprattutto – abbiamo elevati standard di professionalizzazione da parte degli stessi autori nelle varie fasi e attività di marketing, fiere e manifestazioni dedicate. E in Italia? I nuovi autori sono solo dei clienti a cui alcuni operatori vendono servizi o professionalità da far crescere? Perché una cosa è certa: una nuova editoria ha bisogno di nuove professionalità autoriali. E che non siano solo autori di romanzi."
Io ero molto interessato facendo parte del movimento, ed era importante per me confrontare le mie aspettative e la mia realtà quotidiana con la visione globale. Ma già il primo relatore mi lasciava perplesso, spiegando in una serie di numeri l'attuale realtà del mercato in Italia, al netto del catalogo Amazon che ha la parte del leone nel nuovo settore. Però Amazon non rivela i suoi numeri e ho continuato ad ascoltare fiducioso. A pensarci bene, un attributo mi ha fatto scattare un campanello d'allarme: "indisciplinato", riferito al mercato del self. Secondo lo stesso relatore, il mercato del self sarebbe indisciplinato perché chiunque pubblica quello che vuole, più o meno. Un po' come sentii dichiarare a un affermato direttore editoriale due o tre anni fa, con una parola che aveva lo stesso sapore: "incontrollato", ovviamente riferito allo stesso argomento.
Io ero molto interessato facendo parte del movimento, ed era importante per me confrontare le mie aspettative e la mia realtà quotidiana con la visione globale. Ma già il primo relatore mi lasciava perplesso, spiegando in una serie di numeri l'attuale realtà del mercato in Italia, al netto del catalogo Amazon che ha la parte del leone nel nuovo settore. Però Amazon non rivela i suoi numeri e ho continuato ad ascoltare fiducioso. A pensarci bene, un attributo mi ha fatto scattare un campanello d'allarme: "indisciplinato", riferito al mercato del self. Secondo lo stesso relatore, il mercato del self sarebbe indisciplinato perché chiunque pubblica quello che vuole, più o meno. Un po' come sentii dichiarare a un affermato direttore editoriale due o tre anni fa, con una parola che aveva lo stesso sapore: "incontrollato", ovviamente riferito allo stesso argomento.
La mia domanda è sorta spontanea: ma perché, l'editoria classica è disciplinata? Non pubblica forse di tutto? C'è l'alzabandiera, gli operatori sono irregimentati? Non mi sembra. E da chi dovrebbe essere disciplinato il self-publishing?
Peggio ancora: da chi dovrebbe essere controllato, il fenomeno? Da un grande editore, da una coalizione di piccoli, da una commissione governativa?
Andando avanti, il discorso si è spostato sulla qualità, autentica nota dolente, sì, ma in tutti i sensi: in quello dei self poco accurati nelle loro proposte e in quello di chi è solito richiamarla solo nei confronti degli autori autopubblicati.
Assolutamente incomprensibile, nel contesto, il rilievo di un altro relatore sulla fiscalità del selfpublisher: come paga le tasse, se le paga! Visto il metodo, un argomento sollevabile anche alla Fiera del Melograno! L'obiezione è stata reiterata nella lobby, sul fatto che diverse edizione in diversi paesi fanno sorgere il problema della fiscalità. Ma quando mai! Amazon fornisce un servizio, qualcosa come noleggiare una tipografia (a scanso di equivoci, i soggetti interessati pagano le tasse come qualsiasi altro cespite).
Per fortuna, ci ha pensato Carla a rimettere le cose a posto nei miseri dieci minuti rimasti. Il selfpublisher è un auto-editore, non uno stampatore in proprio, e ha pari dignità in quello che fa con qualsiasi altro editore tradizionale, perché si occupa della stessa cosa ovvero curare l'edizione di libri: i suoi, nella fattispecie.
Ma va tutto bene, purché se ne parli, e almeno i relatori, al di là di ogni rispettabile opinione, hanno avuto il coraggio e l'umiltà di prendere in seria considerazione il fenomeno che meritava ben più di un incontro di 50 minuti. Come in tutte le attività produttive ci sono i bravi e i meno bravi, ma tutti hanno il diritto di proporsi come credono al giudizio del pubblico, soprattutto in una fase come questa in cui questa nuova figura professionale si va evolvendo in forme ibride.
A me è toccato, per esempio, co-produrre il mio primo libro con una casa editrice e diffonderlo con un quotidiano locale, in una bella operazione di promozione prodroma, per me, di ulteriori prossimi sviluppi impensabili se non avessi intrapreso questa strada quattro anni fa, e vediamo come andrà.
Se non è fare editoria questa...
Assolutamente incomprensibile, nel contesto, il rilievo di un altro relatore sulla fiscalità del selfpublisher: come paga le tasse, se le paga! Visto il metodo, un argomento sollevabile anche alla Fiera del Melograno! L'obiezione è stata reiterata nella lobby, sul fatto che diverse edizione in diversi paesi fanno sorgere il problema della fiscalità. Ma quando mai! Amazon fornisce un servizio, qualcosa come noleggiare una tipografia (a scanso di equivoci, i soggetti interessati pagano le tasse come qualsiasi altro cespite).
Per fortuna, ci ha pensato Carla a rimettere le cose a posto nei miseri dieci minuti rimasti. Il selfpublisher è un auto-editore, non uno stampatore in proprio, e ha pari dignità in quello che fa con qualsiasi altro editore tradizionale, perché si occupa della stessa cosa ovvero curare l'edizione di libri: i suoi, nella fattispecie.
Ma va tutto bene, purché se ne parli, e almeno i relatori, al di là di ogni rispettabile opinione, hanno avuto il coraggio e l'umiltà di prendere in seria considerazione il fenomeno che meritava ben più di un incontro di 50 minuti. Come in tutte le attività produttive ci sono i bravi e i meno bravi, ma tutti hanno il diritto di proporsi come credono al giudizio del pubblico, soprattutto in una fase come questa in cui questa nuova figura professionale si va evolvendo in forme ibride.
A me è toccato, per esempio, co-produrre il mio primo libro con una casa editrice e diffonderlo con un quotidiano locale, in una bella operazione di promozione prodroma, per me, di ulteriori prossimi sviluppi impensabili se non avessi intrapreso questa strada quattro anni fa, e vediamo come andrà.
Se non è fare editoria questa...
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