Per la seconda volta, dopo Rita Carla Francesca
Monticelli, ospito nel mio blog uno scrittore indipendente, Richard
J. Galloway.
Richard è uno scrittore di
fantascienza, architetto e informatico.
La sua opera d’esordio, “Amantarra”,
rientra a pieno titolo nella fantascienza più pura,
quella così distante dal
mondo che viviamo da darci un senso di smarrimento o di apprensione.
Basta dare un’occhiata alla galleria di immagini con la quale ha reso
visibile il suo universo letterario per capire di cosa si tratta e quanta
accuratezza ha messo per farci spalancare gli occhi, oltre che la mente.
Ciao Richard, benvenuto nel mio blog e grazie di aver accettato il mio
invito. Abbiamo in parte visto cosa sai fare ma, prima di tutto, chi è Richard
J. Galloway?
Come hai appena detto, ho
lavorato come architetto in passato e attualmente mi guadagno da vivere nel
campo dell’informatica, progettando infrastrutture di gestione per sistemi di
server su grande scala. Sebbene mi piaccia il mio lavoro, non è esattamente ciò
che sono. Da bambino, come accade alla maggior parte dei bambini, mi piaceva
che mi venissero lette delle storie. Crescendo, ho iniziato a leggere per conto
mio e finivo per perdermi per ore nei mondi creati degli autori. Lo faccio
ancora, e non riesco a ricordare un periodo della mia vita in cui non stessi
leggendo almeno un libro. Ora sono io a creare i miei universi e mi perdo al
loro interno.
Come concili la tua vita privata e quella lavorativa con la tua
attività di scrittore?
Ho sempre pensato che quando
scrivo divento qualcun altro. Il me stesso di tutti i giorni, quello pratico
che lavora con i computer e tosa l’erba, si siede sul fondo della sala e agisce
da ancora nei confronti della realtà. Lo scrittore crea città costruite dentro
sfere e bibliotecari che non sanno cosa siano i libri. “Amantarra” è una
manifestazione di questa collaborazione, esseri con poteri quasi divini la cui
continua esistenza è legata alla realtà di una città industriale nel nord
dell’Inghilterra. Quando ho iniziato a scrivere, nei primi tempi, mi ci voleva
un’ora per portare la mia mente in uno stato creativo. Ciò di solito
significava che mi rimanevano circa dieci minuti per scrivere. Il progresso era
lento. Adesso, dopo tanta pratica, posso fare questo passaggio molto
velocemente. Il progresso è più veloce, ma continuo a non avere abbastanza
tempo. Quindi la risposta alla tua domanda è: con grande difficoltà.
Come è nata l’idea di “Amantarra”?
“Amantarra” è nato da una storia
su un orologio d’argento che mi è stato regalato quando avevo sei anni. Mi
venne dato da un cognato di mia nonna particolarmente parsimonioso e aveva un
certo valore. Non mi aveva mai dato nulla prima di allora, né mi ha più dato
nulla dopo. Sono ancora perplesso di quel regalo. La storia originale era
un’invenzione e non aveva alcuna somiglianza con gli eventi reali, che mi sono
più sconosciuti della finzione. Poi io ho aggiunto l’elemento fantasioso
all’orologio, dandogli un ruolo importante, ma intermedio, e la trama della
trilogia de “L’ascensione di Valheel” si è sviluppata da lì. Il nome Amantarra
l’ho inventato giocando con i suoni e le lettere.
Il primo autore che mi è venuto in mente visitando il tuo sito è Jean-Giraud,
più noto forse come Moebius il quale, tra (molto) altro, reinterpretò Silver
Surfer con il suo tratto immaginifico e pulito. C’è stata un’ispirazione
fumettistica nel tuo lavoro o quei paesaggi così astratti ma ben definiti sono
completamente tuoi?
La galleria d’immagini sul mio
sito mostra delle immagini di Valheel, la città costruita dentro una sfera.
Valheel è figlia delle due discipline che ho menzionato sopra, architettura e
tecnologia dell’informazione. Nello scrivere della città stavo avendo dei
problemi a immaginare esattamente cosa i personaggi potessero vedere da certe
posizioni. Per risolvere il problema ho creato un modello dell’intera città in
3D sul mio computer. Le immagini sul mio sito e la copertina del libro sono
prese dal modello. Mi è sembrata un’opportunità troppo buona per lasciarmela
sfuggire. Nessun libro di fumetti ha ispirato il modello della città, ma mentre
veniva costruito questo ha senza dubbio influenzato la mia scrittura. In ogni
caso, sono lusingato del fatto che tu mi abbia paragonato a Jean Giraud.
Grazie.
C’è una vasta letteratura di protagoniste, al femminile voglio dire.
Gente tosta, che smentisce l’appartenenza al cosiddetto “sesso debole” (a me viene in mente la Ripley di Alien). Qual è il personaggio che metti
al primo nella tua personale classifica?
Sì, sembra proprio che tu abbia
capito che mi piacciono i personaggi principali femminili forti. Amantarra è la
più giovane di due sorelle, il secondo libro della serie, “Saranythia”,
riguarda l’altra sorella. Sigourney Weaver è una delle mie attrici preferite,
specialmente nei film di Alien, ma c’è un altro film in cui Sigourney ha
lavorato che contiene il mio personaggio femminile forte preferito. Neytiri nel
film “Avatar”, interpretata da Zoe Saldana, è uno che metterei in cima alla mia
lista. Neytiri è la figlia del capo dei Omaticaya, la popolazione indigena al
centro della trama. È un personaggio forte, non perché sia stata spinta in una
situazione del tipo “affonda o nuota” come Ripley, ma perché è il suo modo di
essere. La parte che preferisco è quella in cui Jake conquista il suo amore e
insieme diventano una squadra inarrestabile.
Qual è il tratto distintivo di “Amantarra”, cosa contraddistingue la
tua opera dalle altre dello stesso genere?
La gente che mi ha fatto delle
domande su “Amantarra” mi ha spesso chiesto a quali altre opere di narrativa
assomigli. Mi è sempre stato difficile dare una risposta definitiva. L’opera è
prevalentemente di fantascienza, ma ci sono anche elementi del fantasy e
decidere un genere è difficile. La serie de “L’ascensione di Valheel” è basata
su una semplice premessa: che nelle culture primitive tutta la tecnologia
sufficientemente avanzata venisse considerata magia. In “Amantarra” faccio
conoscere al lettore una razza di essere viventi così avanzati da aver
raggiunto uno stato di immortalità da un tempo superiore a metà dell’esistenza
dell’universo. Senza saperlo, questi esseri stanno combattendo una guerra, e la
stanno perdendo, contro un nemico sconosciuto. Stanno venendo spazzati via in
segreto, ma a causa della natura e della struttura della loro società questo
fatto è passato inosservato… o quasi. Nel tentativo di salvare la sua gente e
guadagnare un po’ di tempo Amantarra fa la sua prima mossa di contrattacco.
Distrugge Valheel. Ora la chiave del successo è nascosta nella realtà di una
cittadina industriale inglese, dove è stata forgiata un’arma dal potere
inimmaginabile. Direi che è proprio la natura bipolare dell’opera, esseri
immortali e vita in una città industriale, a renderla diversa dalle altre. I
due mondi contrastanti si fondono l’uno con l’altro meravigliosamente, ma
bisogna leggere il libro per scoprire come.
Oltre all’annunciata trilogia, e quindi ai due episodi che
completeranno la saga, hai altri progetti già in cantiere o che vorresti
comunque realizzare in futuro?
Ho decisamente altre idee. Sto
lavorando a intervalli a un racconto, ormai da anni, ma continuo a prenderne
delle piccole parti e metterle nella serie di Valheel. I Ja’liem, le creature
simili a orsi che vivono sugli alberi che nascondono il fatto di essere una
specie senziente, sono scaturiti da questo racconto. Prima o poi potrei finire
questo racconto, o potrebbe diventare un altro libro. Per ora preferisco
concentrarmi su una cosa alla volta.
Pensi di essere inserito a pieno titolo nel filone fantascientifico
britannico o di avere tratti più internazionali?
In “Amantarra” ci sono scene che
hanno luogo in Francia oltre che in Inghilterra, quindi c’è un po’ di
internazionalismo. Ci sono scene in altri pianeti e universi separati, ma
probabilmente non contano. Sospetto che tu voglia sapere se c’è una qualche
influenza italiana. L’anno scorso ho visitato Pompei. Le dimensioni e
l’architettura di quel posto sono impressionanti, ma non si tratta
dell’impressione più forte che ho tratto dalla città. Era il senso di perdita,
non solo le persone, ma la tecnologia e i sistemi sociali che la circondavano.
Nel prossimo libro esplorerò la perdita di tecnologia e strutture sociali che
emergono dalla sua scomparsa. L’azione si svolge in un’altra galassia, ma
l’influenza proviene dall’Italia. Per quanto riguarda la pubblicazione, mi
piacerebbe che la mia opera diventasse disponibile anche in altre lingue, e
sono certo che in futuro accadrà, quindi non ti resta che tenermi d’occhio.
Qual è la tua esperienza di autore-self: come ti sei avvicinato, come
hai superato le difficoltà tipiche di questa particolare attività, cosa diresti
a un tuo collega che volesse iniziare e, soprattutto, come ti trovi ora?
Amo la libertà di essere un
autore indie, ciò che trovo difficile è promuovere l’opera finita. Rita Carla
Francesca Monticelli mi è stata di grande aiuto e ha avuto un’influenza davvero
positiva. All’inizio ho cercato di trovare un editore, ma presto mi è parso
ovvio che il mio lavoro non venisse neppure letto. In altre parole, stavo
perdendo tempo. Cosa direi a qualcuno che sta pensando alla pubblicazione
indipendente? Fallo! Non hai davvero nulla da perdere. Persino adesso
“Amantarra” potrebbe trovarsi abbandonato su una pila di manoscritti di un
editore, senza essere letto, in attesa di un rifiuto. Invece è là fuori,
libera, e, conoscendo la sua natura, credo proprio che sia ciò che vorrebbe.
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