domenica 19 gennaio 2014

La fantascienza indie di "Amantarra" di Richard J. Galloway


Per la seconda volta, dopo Rita Carla Francesca Monticelli, ospito nel mio blog uno scrittore indipendente, Richard J. Galloway.
Richard è uno scrittore di fantascienza, architetto e informatico.
La sua opera d’esordio, “Amantarra”, rientra a pieno titolo nella fantascienza più pura,
quella così distante dal mondo che viviamo da darci un senso di smarrimento o di apprensione.
Basta dare un’occhiata alla galleria di immagini con la quale ha reso visibile il suo universo letterario per capire di cosa si tratta e quanta accuratezza ha messo per farci spalancare gli occhi, oltre che la mente.

Ciao Richard, benvenuto nel mio blog e grazie di aver accettato il mio invito. Abbiamo in parte visto cosa sai fare ma, prima di tutto, chi è Richard J. Galloway?
Come hai appena detto, ho lavorato come architetto in passato e attualmente mi guadagno da vivere nel campo dell’informatica, progettando infrastrutture di gestione per sistemi di server su grande scala. Sebbene mi piaccia il mio lavoro, non è esattamente ciò che sono. Da bambino, come accade alla maggior parte dei bambini, mi piaceva che mi venissero lette delle storie. Crescendo, ho iniziato a leggere per conto mio e finivo per perdermi per ore nei mondi creati degli autori. Lo faccio ancora, e non riesco a ricordare un periodo della mia vita in cui non stessi leggendo almeno un libro. Ora sono io a creare i miei universi e mi perdo al loro interno.


Come concili la tua vita privata e quella lavorativa con la tua attività di scrittore?
Ho sempre pensato che quando scrivo divento qualcun altro. Il me stesso di tutti i giorni, quello pratico che lavora con i computer e tosa l’erba, si siede sul fondo della sala e agisce da ancora nei confronti della realtà. Lo scrittore crea città costruite dentro sfere e bibliotecari che non sanno cosa siano i libri. “Amantarra” è una manifestazione di questa collaborazione, esseri con poteri quasi divini la cui continua esistenza è legata alla realtà di una città industriale nel nord dell’Inghilterra. Quando ho iniziato a scrivere, nei primi tempi, mi ci voleva un’ora per portare la mia mente in uno stato creativo. Ciò di solito significava che mi rimanevano circa dieci minuti per scrivere. Il progresso era lento. Adesso, dopo tanta pratica, posso fare questo passaggio molto velocemente. Il progresso è più veloce, ma continuo a non avere abbastanza tempo. Quindi la risposta alla tua domanda è: con grande difficoltà.


Come è nata l’idea di “Amantarra”?
“Amantarra” è nato da una storia su un orologio d’argento che mi è stato regalato quando avevo sei anni. Mi venne dato da un cognato di mia nonna particolarmente parsimonioso e aveva un certo valore. Non mi aveva mai dato nulla prima di allora, né mi ha più dato nulla dopo. Sono ancora perplesso di quel regalo. La storia originale era un’invenzione e non aveva alcuna somiglianza con gli eventi reali, che mi sono più sconosciuti della finzione. Poi io ho aggiunto l’elemento fantasioso all’orologio, dandogli un ruolo importante, ma intermedio, e la trama della trilogia de “L’ascensione di Valheel” si è sviluppata da lì. Il nome Amantarra l’ho inventato giocando con i suoni e le lettere.


Il primo autore che mi è venuto in mente visitando il tuo sito è Jean-Giraud, più noto forse come Moebius il quale, tra (molto) altro, reinterpretò Silver Surfer con il suo tratto immaginifico e pulito. C’è stata un’ispirazione fumettistica nel tuo lavoro o quei paesaggi così astratti ma ben definiti sono completamente tuoi?
La galleria d’immagini sul mio sito mostra delle immagini di Valheel, la città costruita dentro una sfera. Valheel è figlia delle due discipline che ho menzionato sopra, architettura e tecnologia dell’informazione. Nello scrivere della città stavo avendo dei problemi a immaginare esattamente cosa i personaggi potessero vedere da certe posizioni. Per risolvere il problema ho creato un modello dell’intera città in 3D sul mio computer. Le immagini sul mio sito e la copertina del libro sono prese dal modello. Mi è sembrata un’opportunità troppo buona per lasciarmela sfuggire. Nessun libro di fumetti ha ispirato il modello della città, ma mentre veniva costruito questo ha senza dubbio influenzato la mia scrittura. In ogni caso, sono lusingato del fatto che tu mi abbia paragonato a Jean Giraud. Grazie.

C’è una vasta letteratura di protagoniste, al femminile voglio dire. Gente tosta, che smentisce l’appartenenza al cosiddetto “sesso debole” (a me viene in mente la Ripley di Alien). Qual è il personaggio che metti al primo nella tua personale classifica?
Sì, sembra proprio che tu abbia capito che mi piacciono i personaggi principali femminili forti. Amantarra è la più giovane di due sorelle, il secondo libro della serie, “Saranythia”, riguarda l’altra sorella. Sigourney Weaver è una delle mie attrici preferite, specialmente nei film di Alien, ma c’è un altro film in cui Sigourney ha lavorato che contiene il mio personaggio femminile forte preferito. Neytiri nel film “Avatar”, interpretata da Zoe Saldana, è uno che metterei in cima alla mia lista. Neytiri è la figlia del capo dei Omaticaya, la popolazione indigena al centro della trama. È un personaggio forte, non perché sia stata spinta in una situazione del tipo “affonda o nuota” come Ripley, ma perché è il suo modo di essere. La parte che preferisco è quella in cui Jake conquista il suo amore e insieme diventano una squadra inarrestabile.


Qual è il tratto distintivo di “Amantarra”, cosa contraddistingue la tua opera dalle altre dello stesso genere?
La gente che mi ha fatto delle domande su “Amantarra” mi ha spesso chiesto a quali altre opere di narrativa assomigli. Mi è sempre stato difficile dare una risposta definitiva. L’opera è prevalentemente di fantascienza, ma ci sono anche elementi del fantasy e decidere un genere è difficile. La serie de “L’ascensione di Valheel” è basata su una semplice premessa: che nelle culture primitive tutta la tecnologia sufficientemente avanzata venisse considerata magia. In “Amantarra” faccio conoscere al lettore una razza di essere viventi così avanzati da aver raggiunto uno stato di immortalità da un tempo superiore a metà dell’esistenza dell’universo. Senza saperlo, questi esseri stanno combattendo una guerra, e la stanno perdendo, contro un nemico sconosciuto. Stanno venendo spazzati via in segreto, ma a causa della natura e della struttura della loro società questo fatto è passato inosservato… o quasi. Nel tentativo di salvare la sua gente e guadagnare un po’ di tempo Amantarra fa la sua prima mossa di contrattacco. Distrugge Valheel. Ora la chiave del successo è nascosta nella realtà di una cittadina industriale inglese, dove è stata forgiata un’arma dal potere inimmaginabile. Direi che è proprio la natura bipolare dell’opera, esseri immortali e vita in una città industriale, a renderla diversa dalle altre. I due mondi contrastanti si fondono l’uno con l’altro meravigliosamente, ma bisogna leggere il libro per scoprire come.


Oltre all’annunciata trilogia, e quindi ai due episodi che completeranno la saga, hai altri progetti già in cantiere o che vorresti comunque realizzare in futuro?
Ho decisamente altre idee. Sto lavorando a intervalli a un racconto, ormai da anni, ma continuo a prenderne delle piccole parti e metterle nella serie di Valheel. I Ja’liem, le creature simili a orsi che vivono sugli alberi che nascondono il fatto di essere una specie senziente, sono scaturiti da questo racconto. Prima o poi potrei finire questo racconto, o potrebbe diventare un altro libro. Per ora preferisco concentrarmi su una cosa alla volta. 



Pensi di essere inserito a pieno titolo nel filone fantascientifico britannico o di avere tratti più internazionali?
In “Amantarra” ci sono scene che hanno luogo in Francia oltre che in Inghilterra, quindi c’è un po’ di internazionalismo. Ci sono scene in altri pianeti e universi separati, ma probabilmente non contano. Sospetto che tu voglia sapere se c’è una qualche influenza italiana. L’anno scorso ho visitato Pompei. Le dimensioni e l’architettura di quel posto sono impressionanti, ma non si tratta dell’impressione più forte che ho tratto dalla città. Era il senso di perdita, non solo le persone, ma la tecnologia e i sistemi sociali che la circondavano. Nel prossimo libro esplorerò la perdita di tecnologia e strutture sociali che emergono dalla sua scomparsa. L’azione si svolge in un’altra galassia, ma l’influenza proviene dall’Italia. Per quanto riguarda la pubblicazione, mi piacerebbe che la mia opera diventasse disponibile anche in altre lingue, e sono certo che in futuro accadrà, quindi non ti resta che tenermi d’occhio.


Qual è la tua esperienza di autore-self: come ti sei avvicinato, come hai superato le difficoltà tipiche di questa particolare attività, cosa diresti a un tuo collega che volesse iniziare e, soprattutto, come ti trovi ora?
Amo la libertà di essere un autore indie, ciò che trovo difficile è promuovere l’opera finita. Rita Carla Francesca Monticelli mi è stata di grande aiuto e ha avuto un’influenza davvero positiva. All’inizio ho cercato di trovare un editore, ma presto mi è parso ovvio che il mio lavoro non venisse neppure letto. In altre parole, stavo perdendo tempo. Cosa direi a qualcuno che sta pensando alla pubblicazione indipendente? Fallo! Non hai davvero nulla da perdere. Persino adesso “Amantarra” potrebbe trovarsi abbandonato su una pila di manoscritti di un editore, senza essere letto, in attesa di un rifiuto. Invece è là fuori, libera, e, conoscendo la sua natura, credo proprio che sia ciò che vorrebbe.


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