venerdì 3 gennaio 2014

"Philomena", quando la storia supera la storia



La giovane cattolica Philomena (Judi Dench) viene accolta in un convento di suore in una specie di prigionia volontaria. Qui, ragazza-madre,
dà alla luce il piccolo Anthony. All'età di quatto anni, il bambino viene dato in adozione a una famiglia americana, più o meno in cambio di una grossa donazione. Era una pratica consueta nella poverissima Irlanda. Lei non si dà pace per anni finché, conosciuto incidentalmente un giornalista (Steve Coogan) in disgrazia, insieme riescono a rintracciare l'ex-ragazzo, con un lieto fine dimezzato.

Che Judi Dench sia più tagliata, e memorabile, nei panni di "M" o della Regina Elisabetta, mi sembra un fatto scontato. Avrà avuto quindi il suo bel daffare a interpretare questa popolana irlandese e, pur essendo una straordinaria caratterista, senza lasciare il segno, tanto siamo abituati ai suoi ruoli "pesanti" di donne forti.
Ma non ha molta importanza, perché in questo film, tratto da una storia vera e simbolica di tante altre, la vicenda di Philomena è talmente scioccante da superare le (eventuali) imperfezioni della trama.
Se fosse solo un film, sarebbe stato troppo facile, in fondo, rintracciare il ragazzo perduto e troppo scontato l'andamento della narrazione.
Ma tutto è drammaticamente vero, è successo in quel modo e, di conseguenza, la finzione diventa un mezzo al servizio della verità.

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