venerdì 10 ottobre 2014

Fino a che punto è lecito obbedire?


Ma potrei anche chiedere il contrario, cioè quando è lecito disobbedire, o fino a che punto si possono imporre comportamenti, e così via.
Mi sono spesso chiesto qual è il limite tra coscienza e dovere.
Un argomento interessante e spinosissimo, specie per un militare: fino a che punto è possibile ordinare qualcosa a qualcuno in un sistema di regole che lambisca, poco o molto, un istintivo sentimento di giustizia. La domanda è un esercizio accademico in tempi di democrazia, tutt’al più una questione di principio per piccole rivalse quotidiane. Non si rischia la vita né la deportazione a dire “NO!” a qualche personaggio di levatura anche elevata, tanto che qualcuno può anche tentare esperimenti curiosi.
Ma come rispondevano le persone obbligate al dovere in periodi bui come quel 1943 così romantico nei nostri ricordi buonisti di una società nascente, una modernizzazione incombente, un’americanizzazione annunciata dagli Alleati vittoriosi sulle loro jeep?
I miei colleghi avevano giurato fedeltà al Re, all’Esercito, alle leggi, per tacere dell’Arma, del Duce (che in quel momento era più della Legge e più del Re) e dell’alleanza con i tedeschi. Dopo l’8 settembre, obbedendo all’uno disobbedivano minimo a un altro, a pena della vita o comunque con conseguenze gravissime.


Ho dei dubbi sul fatto che obbedire a timore di rappresaglie da parte degli ufficiali, come documentato nell’episodio dell’internamento dei carabinieri romani, possa diventare un alibi per animi meno coraggiosi e men che meno spavaldi. La minaccia alla famiglia è qualcosa di stringente e aberrante, e non condanno nessuno per aver agito sotto questa coartazione. Ma non vorrei che quel minimo margine di manovra, pur ristretto o ristrettissimo, sia stato accantonato paventando oltre misura questa pur reale e terribile minaccia. È mia personale opinione che, in queste situazioni estreme, ci siano sempre dei margini di manovra ma che ci siano, al pari, persone convinte che sia giusto sacrificare le vite e le libertà degli altri per convinzione personale di un distorto senso del dovere, nazisti e fascisti per primi. Il dovere non può mai causare male gratuitamente e scientemente. Credo che quella bruttissima parentesi che fa da sfondo alla storia sia uno dei casi in cui non si possa avanzare a giustificazione di non aver compreso quanto orribile e ingiustificato possa essere deportare qualcuno, e in particolare donne e bambini.
Dirò di più: non trovo alcuna spiegazione, e lascio agli storici spiegare come tutto ciò sia stato possibile.
Io mi sono dato una risposta forse semplice e illusoria: la coscienza dovrebbe sempre prevalere. Nessun potere, tantomeno quelli personalistici, dovrebbero poter coartare la volontà di un singolo, di una massa, di un sistema militarmente organizzato, soprattutto se ciò che è richiesto nuoce in maniera fondamentale ai malcapitati di turno. Nessuna decisione definitiva dovrebbe poter essere presa da un singolo, tanto meno di vita o di morte.
Eppure è successo, succede ancora oggi e, c’è da scommettere, non cesserà neanche in futuro.
Si può tentare di arginare una coazione del genere forse, credo, solo con la democrazia, dove una pluralità di idee in confronto possa generare sempre il meglio per gli individui coinvolti, con la condizione minima del rifiuto della violenza.

Non finirò mai di ribadire come sia più difficile per un militare operare scelte di coscienza, perché compreso in un sistema di regole molto pressante. Ma il fatto che qualcuno lo abbia fatto in maniera così plateale, pur in circostanze estreme, non fa che rafforzare le mie convinzioni, e cioè che nessun sistema di regole debba, e infine possa, costringere altri a agire contro la propria coscienza. La coercizione può diventare un facile alibi per mascherare azioni aberranti, come durante la guerra, o incapacità, come durante periodi senza urgenze apparenti.


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