martedì 23 giugno 2015

Banshee, la serie che non ti aspetti

Difficile non rimanere estasiati dallo spettacolo offerto dalle due prime stagioni di Banshee. La sigla stessa (musica di Methodic Doubt) annuncia uno spettacolo di alta fattura, tanto che ci chiediamo come gli autori possano non dico superarsi, ma perlomeno
uguagliarsi nella prossima III serie, già in palinsesto su Sky Atlantic.


Lo sceriffo Lucas Hood è un delinquente appena uscito di galera, ma tuttora in attività, braccato dal suo ex-capo. Nella sua fuga alla ricerca della sua vecchia compagna, alla quale aveva sacrificato la sua stessa libertà, si trova ad assumere la carica di massima autorità locale a Banshee (un paese immaginario il cui nome deriva da un personaggio della mitologia irlandese che porta sfortuna), in maniera che definire rocambolesca è dir poco. Il suo antagonista, Kai Proctor (censore in Italiano), è un membro ripudiato della comunità Amish locale, dedito al malaffare e spietato autore di crimini orribili senza lesinare una spaventosa crudeltà. Pensate che, tra l'altro, gestisce anche un mattatoio dove... beh, tralascio i particolari per gli animi sensibili.


L'ambientazione in una foresta di Sherwood post-moderna e politicamente scorrettissima è già di per sé geniale. Questo ribaltamento di ruoli, annunciato anche dai nomi dei personaggi, ha conseguenze incredibili e fantastiche nella costruzione della storia, i cui continui colpi di scena lasciano a bocca aperta.  Indiani di nuovo cattivi, bianchi cattivissimi anche se (forse) buoni dentro, mormoni integralisti e peccatori, fino ad alti prelati malavitosi e procuratori alcolizzati: nessuno si salva, tutti i personaggi sono costruiti con efficacia letale per le aspettative del pubblico. Anche se molti fanno una finaccia, anche se tutti, o quasi, sono maledetti, forse sono più felici di quanto sembra delle loro vite in quella specie di mondo sospeso dove vivono, e questa è un altro valore aggiunto.

Ancora una volta la capacità di innovare arriva da oltreoceano in un modo difficilmente eguagliabile per bravura ma soprattutto per scelta... tecnica delle produzioni di casa nostra, troppo rassicuranti e pensate per un pubblico casalingo degli anni '60 che forse non esiste neanche più.

A ben vedere c'è solo un rischio, e non è neanche da poco: quello di esagerare nei ribaltamenti, tanto da superare la soglia e sfociare nell'incredibile, cioè nel non credibile, come miseramente successo a The Following, la cui seconda serie è stata la caricatura (involontaria) della prima.

Ma, almeno per ora, siamo sulla cresta dell'onda!

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