La prima impressione nel leggere questo libro è stata quella di avere davanti a me una versione testuale del Comandante Mark o del Grande Blek, direttamente dalla mia infanzia fumettistica, saghe affascinanti che evocavano epopee di eroi impavidi e coraggiosi che cavalcavano sullo sfondo della natura incontaminata dei Grandi Laghi e degli Appalachi. L'ambientazione, il paesaggio, i personaggi, il linguaggio, mi riportavano alla memoria Inglesi sdentati con la faccia da scemo e i Lupi dell'Ontario belli ed eroici.
Chiedo perdono: ovviamente, non è così e, anzi, grazie alla bct - biblioteca comunale terni (e a Dorothy Parker ), ho potuto leggerlo in una pregevole edizione.
La narrazione ottocentesca non deve ingannare perché la storia, la trama, i protagonisti, lo sfondo storico, tutto è degno di un grande romanzo. Non mancano colpi di scena, e le diverse personalità e motivazioni agiscono e fanno leva.
Certo, John Fenimore Cooper (autore prolifico, tra l'altro, de "L'Ultimo di Mohicani"), era un uomo del suo tempo, uno statunitense della prima ora, uno che ha visto i Padri Fondatori e ne ha fatta testimonianza, quindi è chiaro qual è la sua parte anche se, nel patriottismo mai esasperato, si intravede l'obbiettività di chi sa di essere dalla parte giusta.
Chi avesse dubbi sul mito americano e sul fatto che oggi sia percepito all'estero come una forzatura se non un'invenzione, forse dovrebbe rileggere il romanzo e percepirne l'atmosfera: un popolo di contadini combattuti dalla Madre Patria per una terra ritenuta inutile all'Impero perché lontana e ingovernabile, buona solo da sfruttare per la tassazione, senza rendersi conto che i paria erano invece cresciuti, avevano acquisito dignità e desideravano il riscatto che ogni individuo pretende, in condizioni proibitive rivelatesi un volano di opportunità.
Non c'è traccia della Superpotenza che tutti conosciamo ma di un "governo di galantuomini" capace di catalizzare il sentimento comune su principi fondanti per la creazione di uno Stato rivoluzionario per l'epoca (e forse ancora oggi). Il Comandante in capo che ogni lunedì parla alla radio incarna lo stesso sentimento che fu di George Washington.
"La spia", nonostante il titolo, non è un romanzo di spionaggio né è classificabile a mio avviso con i canoni di oggi, essendo un po' questo, un po' romance (è l'autore stesso a spiegarci che "...le donne sono creature sensibili... adorano l'immaginazione e castelli circondati da fossati e ponti levatoi"), un po' drammatico e un po' di formazione ("...le persone migliori credono che tutti si comportino come loro e sono meno inclini al sospetto..."), su uno sfondo storico pure rispettato, e ovviamente, direbbe qualcuno, non politicamente corretto ("Se non se n'è avuta esperienza, si può difficilmente immaginare quali rapidi progressi possa fare l'amore nel cuore di una donna nel breve spazio di mezz'ora".)
Durante la Guerra d'Indipendenza, Harvey Birch, un avventuroso commerciante, vive arrangiando commerci con monarchici e ribelli, accomunando amici e nemici di conseguenza. Le due parti in conflitto sono ben definite ma non così gli uomini delle rispettive fila, visto che gli Americani in realtà sono Inglesi... naturalizzati, che combattono contro i loro stessi consanguinei, tanto che simpatizzanti e politicamente schierati intrecciano interessi contraddittori. E così, ufficiali inglesi e americani, amici e avversari al tempo stesso, agiscono nel raggio di pochi chilometri, a ovest dell'Hudson, tra New York e la Frontiera minacciosa incombente, precisamente nel castello dei Wharton, dove vivono, o meglio vivevano prima della guerra, due figlie in età da marito, una zia vedova e cugini arruolati nell'uno o nell'altro schieramento. Harvey è ambiguo e rischierà la vita più volte per scelte solo in apparenza incomprensibili, inviso sia ai Britannici che ai regolari americani, scampando a diverse battaglie ed episodi sanguinosi, tra i quali non mancano linciaggi feroci e brigantaggio. Tutto avrà la sua spiegazione nel finale, e il Presidente in persona renderà giustizia.
Un romanzo da leggere se si è appassionati di Storia moderna, per assistere, con gli occhi dei protagonisti, alla nascita della Nazione alla quale un giornalista attribuì, di lì a un secolo, il "destino palese" di guida dell'umanità.
LA SPIA
John Fenimore Cooper
pp. 395, Edizioni di Crémille di Ginevra, Amici della Storia (1970)
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